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Il cambiamento del concetto di società di massa e le nuove tecnologie stanno trasformando il panorama del retail soprattutto nel largo consumo, influenzando formati, assortimenti e le shopping experience proposte dalle insegne. 
 

Ne parliamo con Armando Garosci, Direttore di Largo Consumo, il mensile che da quasi 50 anni propone approfondimenti di economia e marketing sulla filiera dei beni di consumo (food e non food) e realizza format editoriali, di inchiesta e analisi per l’intero settore della distribuzione moderna.

 

1. Come dovranno essere integrate le competenze delle persone con quelle dell’IA e di altre tecnologie sul punto vendita nel prossimo futuro?

Partiamo da un semplice assunto: una volta che la tecnologia è diventata di utilizzo comune, non si torna più indietro, diventa uno strumento essenziale della quotidianità. È stato così quando l’uomo ha scoperto la ruota e sarà così sempre. Quindi, ciò che dovremmo realmente domandarci è: stiamo utilizzando le persone nel modo giusto, in considerazione della tecnologia che abbiamo a disposizione? Siamo in un momento in cui la tecnologia può portare solo vantaggi, e bisogna utilizzarla adeguatamente: se mette in crisi il modello organizzativo del brand o del retailer, il modello organizzativo deve essere cambiato. Dobbiamo superare quelle paure che sono dei meri retaggi del passato, impiegare le persone come persone e i robot come robot. Talvolta facciamo esattamente il contrario. 


2. La tecnologia AI sarà sempre più rilevante per ingaggiare, coinvolgere e migliorare l’esperienza d’acquisto dei consumatori, cosa ne pensa?

È una domanda molto ampia, quindi, per prima cosa bisogna distinguere gli ambiti in cui l’IA dovrebbe operare. Per aiutare a cercare taglia e/o colore è sufficiente un robot, ma per consigli e richieste più personalizzate la forza vendita è fondamentale. Il contatto umano deve essere al servizio del consumatore, quando serve e quando lo richiede; perché il cliente continua a essere sovrano nel processo di vendita.  L’IA deve essere al servizio della distribuzione moderna, ma allo stesso tempo deve lasciare al consumatore la padronanza decidere il proprio percorso d’acquisto. Togliere il potere al cliente, significa distaccarsi dal patto di “libertà di scelta” che c’è tra l’insegna e il consumatore tipico della distribuzione moderna.  E in quest’ottica, solo i retailer che liberano la possibilità di scelta per il consumatore, possono vincere. 


3. Diversi studi dimostrano che le persone stanno tornando nel punto vendita, se non per comprare, per informarsi o per vivere un’esperienza: come continuerà a cambiare secondo lei il ruolo dei negozi della GDO e della GDS?

Quando parliamo di punto vendita stiamo usando un’espressione del ‘900, non più adatta al nostro secolo. Perché continuare a chiamarlo punto vendita quando non è detto che lì avvenga la vendita? Alle volte lì comincia il journey, alle volte vi finisce. Indipendentemente dal nome, la richiesta di fisicità rimarrà per sempre: la volontà di avere un contatto fisico non tramonterà mai. Le persone adorano i luoghi! Semmai è una questione di come questi evolvono. Nel mondo del non-food gli esempi sono numerosi, possiamo citare Leroy Merlin e Decathlon che hanno aperto dei format di prossimità. Esselunga con Esserbella, che ha rivoluzionato il format di vendita nella cura della persona. Per il mondo food, il cambiamento è più difficile, perché il mondo alimentare ha una responsabilità assortimentale più ampia, solo pochi retailer si stanno muovendo in tal senso, tra questi Esselunga con la Esse, Tuttigiorni, Decò o Viaggiator Goloso. 


4. Qual è il futuro dei punti vendita di prossimità e dei discount?

Partiamo dal presupposto che il concetto di prossimità italiana è un “supermercato in miniatura”, diverso dal concetto di convenience store del mondo anglosassone. Come accennavo prima alcuni retailer stanno facendo scelte interessanti, come La Esse, Il Viaggiator Goloso, che possono essere definiti come negozi di semi-prossimità, con promesse ben chiare per il consumatore.  Questo concetto di semi-prossimità, funziona nelle piazze italiane e permette di mantenere le caratteristiche della distribuzione moderna. Un esempio interessante in questo senso è stato fatto da Ibba nell’aeroporto di Cagliari, dove il minimarket dei prodotti del territorio sta riscuotendo ottimi risultati.


5. Quali sono i tre trend che riguardano il mondo retail che vorrebbe veder avverati?

Rispondo che il momento migliore per piantare un albero era vent'anni fa, o adesso.  Per questo credo che sia già abbastanza sfidante interpretare il cliente di oggi, più che interessarsi al negozio di domani. La cosiddetta innovazione nel retail spesso si esprime in fughe in avanti (o di lato), ma il mercato ci urla in faccia tutti i giorni i suoi bisogni. 

 
 

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